Recensioni & Interviste, Teatro
Totò, il principe della risata
Il 15 aprile del 1967, a Roma, nella sua casa di via dei Monti Parioli moriva a 69 anni, Antonio de Curtis, ovvero Totò, universalmente considerato il «Principe della risata».
Conosciuto da tutti come attore e caratterista, noi ne parliamo come uomo in cinque curiosità sulla sua vita privata.
FIGLIO DI NN
Per tutta la vita Totò fu segnato da quella doppia N, e la sua fu un’incessante ricerca di identità, di riscatto, soprattutto nobiliare. Dopo anni di ricerche e richieste di ufficializzazioni, di libri e alberi genealogici studiati in innumerevoli biblioteche, incontri con avvocati e notai, il nome completo del nostro divenne Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfiro-genito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, Principe. Ma dopo tanto penare e gridare ai quattro venti che lui non era un figlio di nessuno, bensì un principe bizantino, pare che Totò tenesse il suo stemma nobiliare bene in vista sul copri-water del bagno principale, in casa sua. «Ho voluto dimostrare le mie origini”, spiegò un giorno a un amico che gli chiese spiegazioni, “Ma il Principe De Curtis non mi ha mai dato da mangiare. A farlo è stato sempre e solo Totò».
TOTÒ AD ALESSANDRIA… MA ALL’OSPEDALE
Durante gli anni della prima guerra mondiale si arruolò volontario nel Regio Esercito venendo assegnato al 22esimo Reggimento fanteria. Venne quindi trasferito al CLXXXII Battaglione di milizia territoriale, unità di stanza in Piemonte, ma destinata a partire per il fronte francese. Alla stazione di Alessandria, il comandante del suo battaglione lo armò di coltello e lo avvertì che avrebbe dovuto condividere i propri alloggiamenti in treno con un reparto di soldati dalle strane e temute abitudini sessuali. Totò a quel punto, terrorizzato, fu colto da malore e venne ricoverato nel locale ospedale militare, evitando così di partire per la Francia.
LA SUPERSTIZIONE
Da bravo napoletano, uomo di chiesa e soprattutto uomo di teatro Totò era molto superstizioso. «Odio i gatti neri, sussulto se si versa l’olio e non faccio niente di venerdì», dichiarò durante un’intervista. «Credo anche che esistano gli jettatori e, per ingraziarmeli, neutralizzando così i loro influssi malefici, fingo di trovarli simpatici, li tratto bene, arrivo persino a coccolarli». Tutta questa superstizione però sembra una contraddizione se si pensa che Totò possedeva un loculo nel cimitero monumentale al Verano di Roma, e che sovente ci si infilava rimanendoci anche un’intera notte.
LA CANZONE MALAFEMMENA
Nel 1951 Totò, seppur sposato con Diana Rogliani, aveva fatto una corte spietata a Silvana Pampanini, conosciuta sul set del film 47 morto che parla. Scoperta la tresca, la moglie decise di separarsi e si risposò poco dopo, mentre la figlia di Totò, Liliana, appena diciottenne se ne andò di casa per sposarsi a sua volta.
Così Totò scrisse di getto la canzone Malafemmina, che divenne popolarissima dopo l’omonimo film con Peppino De Filippo, ma decise di donare tutte le royalties proprio all’ex moglie.
FUNERALE FUORI DAGLI SCHEMI
Nonostante l’attore avesse sempre espresso il desiderio di avere un funerale semplice, ne ebbe addirittura tre: uno a Roma, uno nel Rione Sanità, a Napoli, tenuto da un capo guappo della zona (ma con una bara vuota), e infine il più importante, sempre a Napoli, nella cappella di Sant’Eligio.
Dopo il rito funebre, le autorità furono costrette a far uscire la salma da una porta secondaria, all’interno della basilica susseguirono scene di panico e anche svenimenti. Ci furono quattro feriti, due donne e due agenti, in seguito all’enorme scompiglio causato.
Il corpo di Totò venne così scortato da motociclisti della polizia al Cimitero del Pianto, dove venne seppellito accanto ai genitori, al figlio morto neonato Massenzio e all’amata Liliana Castagnola (che si era suicidata per lui nel 1930).
David Robotti
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