Enogastronomia, Ricette & Tradizione
La ricetta degli asparagi alla milanese
Tra le tante ricette che la Lombardia ci ha consegnato negli anni, la ricetta degli asparagi alla milanese è secondo una delle più sfiziose. Si tratta di un secondo piatto gustoso la cui preparazione affonda le sue radici nella storia del capoluogo. La sua preparazione è così conosciuta da questo piatto viene cucinato e gustato praticamente in tutta Italia. Ma perché poi proprio gli asparagi? In Lombardia la conformazione del territorio è molto favorevole proprio alla crescita spontanea di questo ortaggio, da qui, in antichità, il tentativo di renderlo il più gustoso possibile.
Ingredienti per quattro persone:
– uova 4
– asparagi 1,5 kg
– parmigiano reggiano grattugiato 4 cucchiaini
– burro 15 g
– olio qb
– pepe qb
– sale qb
Preparazione:
Lavate accuratamente gli asparagi, asciugateli e tagliate la parte bianca e più dura del gambo. A questo punto pelateli leggermente, lasciando intatta la parte superiore e più delicata. Fatto questo legateli con dello spago da cucina e metteteli a bollire sino a quando non saranno cotti in una pentola alta e stretta contenente quattro litri di acqua e un pizzico di sale. Intanto preparate le uova all’occhio di bue. Mettete in una padella un filo d’olio e quando sarà bello caldo friggete l’uovo. Quando l’uovo sarà cotto (il tuorlo deve rimanere morbido) toglietelo dalla padella e tenetelo da parte, e nella stessa padella adagiate gli asparagi scolati. Lasciateli insaporire, adagiatevi sopra l’uovo e serviteli caldi con un po’ di burro fuso sopra.
Letteratura, Recensioni & Interviste
Angolo lettura: Vecchi, folli e ribelli
In Vecchi, folli e ribelli Giampaolo Pansa racconta i piacere della vita nella terza età. Lo fa grazie a un intreccio di storie che si incontrano rendendo vivido e lucido un mondo che ai più pare lontano anni luce: quello degli anziani. Vuole raccontare un tabù che poi tabù non è. Piuttosto un microcosmo che viene ignorato dalla popolazione produttiva e capito solo da chi ci vive dentro. Un mondo fatto da persone che hanno visto passare inesorabilmente gli anni ma che, in un qualche modo, hanno ancora diverse cartucce da sparare. Anche per questo Pansa parla e racconta di loro in un libro-saggio dai colori della senilità.
SINOSSI
A quell’età venerandissima in cui in genere si depongono le armi e si inclina verso un buonismo forzoso, Pansa fa i conti con il più grande tabù della nostra epoca: la vecchiaia. E, da irriducibile contestatore, affronta l’età scomoda per eccellenza senza censure, parlando di sesso e di desiderio, di sfide e progetti, ma anche di bisogni e di solitudini, di quella fame di giovinezza che toglie la voglia di guardarsi negli specchi. Ma davvero il grande saggio è un uomo inutile nella nostra società? Possibile che la maturità sia diventata un problema? Ancora una volta, la proverbiale perfidia di Pansa permette di sfatare molti luoghi comuni e di raccontare un’età dell’oro punteggiata di scatti vitalistici.
Autore: Giampaolo Pansa
Titolo: Vecchi, folli e ribelli. Storie private della terza età
Editore: Rizzoli
Pagine: 406
Prezzo: 20 euro
Rassegne Teatrali & Spettacoli, Teatro
L’incoronazione di Poppea arriva alla Scala
Al Teatro alla Scala è in scena L’Incoronazione di Poppea l’ultima puntata della trilogia monteverdiana coprodotta con l’Opéra di Parigi. La direzione d’orchestra e l’interpretazione musicale sono affidate a Rinaldo Alessandrini, uno dei più validi interpreti del repertorio barocco. Alla regia lo scenografo e light designer, Robert Wilson. Il progetto è stato inaugurato da L’Orfeo nel 2009 ed è proseguito con Il ritorno di Ulisse in patria nel 2011.
L’incoronazione di Poppea venne scritta nel 1642. Agli esordi dell’opera, al fine di attirare un gran pubblico, il librettista Gian Francesco Busenello scrisse una storia di sesso e potere che assomigliava a una fiction attuale, di quelle che fanno audience. Nella storia della musica è il primo titolo “storico”, che parla di personaggi realmente vissuti (Nerone, Seneca) come di un tema eterno dell’umana realtà: l’arrampicatrice sociale che usa le sue arti amatorie con un potente per strapparlo alla moglie e ai buoni consiglieri che lo sconsigliano, per diventare imperatrice. La regia di Robert Wilson colloca l’intrigo d’amore e di potere dell’imperatore Nerone e dell’ambiziosa Poppea in una Roma astratta costruita con luci e atmosfere di superba eleganza.
Autore: libretto di Giovan Battista Busenello
Musiche: Claudio Monteverdi
Direttore Rinaldo Alessandrini
Regia, scene e luci Robert Wilson
Compagnia: Fondazione Teatro alla Scala in coproduzione con Opéra di Parigi
Cast: Miah Persson, Monica Bacelli, Silvia Frigato, Luca Dordolo, Furio Zanasi, Leonardo Cortellazzi, Adriana Di Paola, Giuseppe De Vittorio, Andrea Concetti, Mirko Guadagnini, Maria Celeng, Luigi De Donato, Monica
Piccinini, Andrea Arrivabene
Genere : Danza
Data : 22 Settembre 2016, ore 20
Luogo : Teatro Alla Scala di Milano
Info : redazioneweb@teatroallascala.org
David Robotti
Rassegne Teatrali & Spettacoli, Teatro
Love Story, ecco anche il musical
Love Story in versione musical debutta a Londra al Duchess Theatre nel novembre del 2010 dopo il successo al Festival Di Chichester pochi mesi prima. Lo spettacolo si ispira all’omonimo film del 1971 tratto da un racconto di Erich Segal, uno dei film più romantici e sentimentali di tutti i tempi. Prodotto dalla Paramount ottenne sette nomination all’Oscar e ricevette la statuetta proprio per le musiche di Francis Lai. Arricchito dalle melodie di Howard Goodall e dalle liriche di Stephen Clark ha avuto un grande successo a Londra e ha ricevuto tre nomination ai Laurence Olivier Award, gli Oscar del teatro inglese, e si è distinto come uno dei più artisticamente innovativi. La Stage Entertainment ne fa un nuova produzione in Olanda e lo spettacolo è in un tour di oltre 150 date Atto unico di un’ora e mezzo, è accompagnato dal vivo da un’orchestra da camera di sette elementi (quintetto d’archi, piano e chitarra acustica) ed è interamente cantato e recitato in italiano.
Trama
Oliver Barrett, ricco studente di Harvard e giocatore di hockey, incontra in una biblioteca una ragazza italo-americana, Jennifer Cavalleri, studentessa di musica e di forte carattere. All’inizio la giovane tiene lontano quel ragazzo spocchioso, ma nonostante le differenze sociali i due si innamorano e si amano profondamente e, contravvenendo alle condizioni imposte dal padre di Oliver che non approva l’unione, decidono comunque di sposarsi con una cerimonia originale e molto intima alla quale partecipa solo il padre della ragazza. Per coronare il loro sogno d’amore entrambi sono costretti a rinunciare a qualcosa: lei rifiuta una borsa di studio a Parigi, dove ha sempre sognato di andare, e lui interrompe completamente i rapporti con i genitori. Queste scelte li costringono a vivere in severe ristrettezze economiche; lei lavora come insegnante per sbarcare il lunario e lui entra alla facoltà di legge di Harvard dove si laurea con voti altissimi. Quando finalmente Oliver viene assunto da un prestigioso studio legale di New York e Jenny può smettere di lavorare, la coppia decide di mettere su famiglia ma non riescono ad avere figli. Entrambi si sottopongono ad accertamenti clinici dai quali si scopre che Jenny è affetta da una forma di leucemia fulminante e che le resta poco da vivere.
Autore: tratto da un racconto di Erich Segal, testi adattati di Stephen Clark
Regia: Andrea Cecchi
Musiche: Howard Goodall
Direzione musicale: Gianni Mini
Compagnia: Compagnia delle Formiche
Cast: Maria Giulia Olmi, Davide Sammartano, Fabrizio Corucci, Lapo Braschi, Chiara Materassi, Claudia Naldoni
Ensemble: Elisa Bisceglia, Benedetta Bottai, Antonio Lanza, Gianni Mini, Riccardo Stopponi
Musicisti : Marco Baldini, Tommaso Faglia, Julio Rafael Fernadez Guerrero, Dario Hansson, Katia Moling, Kevin Mucaj, Andrea Mucciarelli
Genere : Musical
Data : 21 Settembre 2016, ore 21
Luogo : Teatro Carcano di Milano
Info : info@teatrocarcano.com
David Robotti
Teatro, Un po' di storia...
Teatro Carignano di Torino
Il Teatro Carignano di Torino è uno dei più begli esempi di teatro all’italiana e allo stesso tempo uno dei luoghi simbolo della Città. La genesi della sala teatrale trae origine dall’importante progetto di trasformazione ed espansione della Torino tardo cinquecentesca, esigenza sorta dalla necessità, da parte della casata Savoia, di accreditarla come moderna capitale, affrancandola definitivamente dall’angustia e dalla modestia architettonica lamentate, tra gli altri, da Montaigne. L’ascesa al trono di Vittorio Amedeo II (1684) e la sua successiva designazione a re di Sicilia accompagnano l’arrivo di Filippo Juvarra che apre la struttura dei palazzi e della vie cittadine a un respiro urbanistico inedito: suo allievo è Benedetto Alfieri, zio di Vittorio, che ne prosegue la visione nel riassetto del centro, un’opera grandiosa che coinvolge anche gli spazi dedicati allo svago del sovrano e dei nobili. Il Teatro Carignano si inserisce a pieno titolo in questo contesto: nel 1710 il principe Vittorio Amedeo di Carignano fa adattare a teatro il salone secentesco chiamato Trincotto Rosso, un edificio utilizzato per il gioco della pallacorda, facendo costruire 56 palchetti e destinandolo a sala di spettacolo: solo dopo il passaggio alla Società dei Cavalieri nel 1727 lo spazio si apre a prosa, canto e balletti. Nella stagione 1752-53 su richiesta del Principe Luigi Vittorio di Carignano l’architetto regio Alfieri ricostruisce il teatro dalle fondamenta, riproponendo una versione ridotta della pianta del Teatro Regio. Il teatro viene inaugurato per la Pasqua del 1753 con la Calamita dei cuori di Carlo Goldoni, musicata da Baldassarre Galluppi.
L’incendio del 16 febbraio 1786 impone una nuova ricostruzione su progetto di Gian Battista Feroggio con quattro ordini di palchi. Divenuto proprietà del Comune di Torino nel 1870, nel 1885 viene rivisto dall’architetto Carrera, che chiude il porticato con un ammezzato per la realizzazione di uffici, la trasformazione del quarto ordine di palchi in galleria, e la creazione di una sala sotterranea prima destinata a birreria e poi (1903) a sala cinematografica, una delle prime della città. Risale al 1977 la cessione definitiva alla Città, che lo affida al Teatro Stabile di Torino. Nella primavera del 2007 sono stai avviati gli ultimi e più importanti lavori di ristrutturazione, completati nel 2009, con i quali sono stati ripristinati gli originari ingressi del teatro, l’antica birreria sotterranea che diventa il foyer della struttura, la risistemazione generale degli arredi e degli impianti di sala e di palco: il Teatro Carignano si è trasformato in una delle sale storiche più modernamente attrezzate per lo spettacolo dal vivo del nostro Paese.
Lo spettacolo scelto per la riapertura al pubblico è stato Zio Vanja di Anton Čechov, per la regia di Gabriele Vacis.
Il teatro Carignano di Torino è stato usato per ben due volte da Dario Argento come set di una scena di un suo film: la prima volta nel 1975 per Profondo rosso (scena del congresso di parapsicologia) e la seconda volta nel 2001 per Non ho sonno (scena dell’omicidio della ballerina)
Gli attori, i registi e drammaturghi che hanno calcato il palcoscenico del Teatro Carignano sono numerosissimi e percorrono la storia della sala fin dalla sua fondazione, a partire da Carlo Goldoni. È al Carignano che nel 1762 il tredicenne Vittorio Alfieri assiste per la prima volta a uno spettacolo ed è sempre qui che nel giugno 1775 debutta con la sua prima tragedia. Negli anni della Restaurazione, dal 1821 al 1855, il Carignano è la sede ufficiale della Compagnia Reale Sarda, costituita sul modello della Comédie Française e considerata la più illustre antenata degli attuali teatri stabili.
Il Novecento si apre al Carignano con numerose prime rappresentazioni, tra cui Il matrimonio di Casanova di Renato Simoni (1910), Il ferro di Gabriele D’Annunzio (1914), Le nozze dei Centauri di Sem Benelli (1915) e soprattutto Il piacere dell’onestà dell’allora dell’emergente Luigi Pirandello. In quegli anni il teatro è frequentato in veste di cronisti teatrali dai giovani Antonio Gramsci e Piero Gobetti. Dal 1961 lo storico teatro settecentesco ospita i maggiori spettacoli realizzati dallo Stabile di Torino. L’elenco degli artisti ospitati dalla sala di piazza Carignano è interminabile, a partire dai maggiori protagonisti della scena italiana.
Un ultimo ricordo memorabile: nel 2007 il premio Nobel Harold Pinter, in una delle sue ultime uscite pubbliche, riceve il Premio Europa per il Teatro in un Carignano gremito e commosso.
David Robotti
Altri, Miti e Leggende
La leggenda della Dama Bianca della Sacra di S.Michele
Questa è una leggenda antica che trae le sue origini in un luogo incantato. Parliamo della Sacra di San Michele. Quest’opera immensa è situata nei pressi del paesino di Sant’Ambrogio, raggiungibile solo inerpicandosi per l’antica mulattiera che si snoda ripida tra i boschi e raggiunge la vetta del monte Pirchiriano. Proprio incamminandosi per quella strada si possono scorgere i ruderi dell’antico castello abaziale, residenza nei secoli XIII e XIV dell’Abate della Sacra. A ogni nuova investitura, con una solenne cerimonia, l’Abate della Sacra di San Michele prendeva possesso dei domini dell’Abazia mentre i sudditi facevano atto di sottomissione. Il castello subì numerosi rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Dalle distruzioni alle ricostruzioni. Eppure la romantica leggenda della Dama Bianca è rimasta custodita intatta dalla fine del 1400 sino ai giorni nostri.
Il castellano all’epoca dell’Abate Giovanni di Varax era un uomo di vita scandalosa, ruvido ed estorceva senza pietà tasse ai sudditi per riempirsi le tasche. Amava la caccia e la guerra. Aveva anche in moglie la contessa Anna di Beney, molto bella, colta e intelligente, ma molto infelice a causa del suo triste matrimonio. Un giovane del luogo era solito frequentare il castello e, con racconti di Paesi lontani e abili conversazioni, intratteneva piacevolmente la contessa. I due presto si innamorarono. Era un sentimento puro che permetteva alla giovane contessa di sopportare una vita che non l’appagava affatto.
Ma nessuna favola è destinata a durare per sempre. Tanto è vero che un giorno l’Abate scoprì quell’amore illecito e decise di lavare con il sangue il disonore. Ecco che Giovanni uccise il giovane, gli strappò il cuore, e lo fece cucinare a un ignaro cuoco. Il piatto venne presentato alla consorte che gradì quel gustoso manicaretto. Alla fine del pranzo, con un sogghigno di soddisfazione, l’Abate le rivelò che il piatto che aveva mangiato altro non era che il cuore del suo amante. La contessa Anna impallidì. Ma ebbe comunque la forza di replicare al crudele marito: «Avendo io mangiato un cibo così prelibato, le mie labbra non potranno più toccare altro nutrimento che non sia alla sua altezzza». In breve tempo, così, la contessa morì di fame.
Nel giro di breve tempo la notizia dell’atroce destino riservato ai due amanti dall’Abate Giovanni di Varax si sparse per tutto il paese. E quando giunse agli amici del giovane, inorriditi e indignati, decisero di tendere un agguato al castellano di ritorno da una battuta di caccia. Dopo la morte del castellano la leggenda narra che si scorga di tanto in tanto di notte un pulviscolo luminescente, palpitante, come uno scintillio fluorescente che lentamente prende le sembianze di una giova donna bellissima dai biondi capelli che prega vicino alla croce che si trova lungo la mulattiera e che poco a poco si diriga verso il castello per poi si fermarsi. Quasi come se fosse in attesa di qualcosa o qualcuno. Questo fino a quando non compare una nube ondeggiante di colore giallo chiaro che in pochi secondi si plasma in una sagoma maschile. A quel punto le due figure si raggiungono e si uniscono in un dolce e caloroso abbraccio passando la notte stretti l’uno all’altra.
David Robotti
Altri, Miti e Leggende
Il fantasma di Margherita Pusterla
Correva l’anno 1340 quando Luchino Visconti, signore di Milano, s’innamorò di Margherita. Era la donna più bella della città: nobile e affascinante nonché cugina dello stesso Luchino. Il Visconti era però preceduto da una pessima fama. Aveva avuto una vita prodiga, intrattenendosi più coi cattivi che coi buoni, dormendo di giorno e agendo di notte. Luchino, che in vita sua ebbe innumerevoli amanti e molti figli, legittimi e illegittimi, aveva sposato una Spinola essendone stato precedentemente l’amante. Rimasto vedovo aveva sposato Isabella “Fosca” Fieschi, donna bellissima e impudica.
Insomma un vero e proprio Don Giovanni che non rappresentava il corteggiatore ideale per Margherita. Soprattutto perché la donna era sposata con Francesco dei Pusterla, nobile e ricchissimo milanese amico e sostenitore dei Visconti. Margherita, offesa e intimorita dalle insistenti lusinghe del Signore di Milano, rivelò la cosa al marito, il quale andò su tutte le furie. Poiché non era possibile vendicarsi apertamente del Visconti, che si circondava di sgherri armati fino ai denti e teneva nella sua corte personaggi come Mastro Impicca, un boia personale esperto di nodi e strangolamenti, dovette agire di nascosto, ricercando alleati.
La congiura contro il tiranno venne però scoperta e il Pusterla dovette abbandonare in tutta fretta Milano coi quattro figli maschi riparando in quel di Avignone presso la corte papale.
Luchino Visconti non si arrese e cercò in ogni modo di vendicare l’affronto della cospirazione. Per le vie diplomatiche cominciò a intrigare coi suoi emissari presso la corte pontificia, finché il Pusterla, si rese conto di quanto l’aria di Avignone si stesse facendo pesante. Gli fu consigliato da Mastino della Scala di riparare a Verona, pertanto si imbarcò su una nave verso Pisa dove, i Rettori della città, gli assicurarono che avrebbe potuto fare una salutare pausa nel viaggio verso la città scaligera. Si trattava però di una trappola ordita dal Visconti. Appena attraccati a Pisa i Pusterla vennero infatti arrestati, con la connivenza dei governanti e l’indignazione del popolo della città. Così, assieme ai figli, Francesco Pusterla venne decapitato nella piazza del Broletto a Milano.
Secondo la leggenda Margherita sarebbe stata rinchiusa nel Castello di Invorio dal Visconti, in un estremo tentativo di seduzione. Vistosi nuovamente respinto, l’avrebbe fatta murare viva nelle segrete del castello. Il fantasma della sventurata Margherita sarebbe stato visto aggirarsi attorno alla torre piangendo tuttora i suoi lutti.
David Robotti
Letteratura, Recensioni & Interviste
Angolo lettura: La Vita che si ama
Un testamento spirituale. O meglio, lo sguardo su di un mondo e un modo di essere che non c’è più. Con La Vita che si ama – Storie di felicità, Roberto Vecchioni si chiede cosa sia la felicità e come poterla raggiungere. Uno sguardo disilluso nei confronti di una società fagocitatrice come quella di oggi. Si tratta di un padre, Vecchioni, che lo racconta ai suoi quattro figli, Francesca Carolina, Arrigo ed Edoardo. Un libro carico di umanità, sentimenti e soprattutto di vissuto personale. Un volume agile da leggere che lascia il lettore con interrogativi importanti, gli stessi dell’autore, che diventano quelli di una comunità, la cui chiave di lettura è in parte presente all’interno del libro stesso.
SINOSSI
È inutile chiedersi cosa sia la felicità, o come fare a raggiungerla. Lo scrive un padre ai propri figli nella lettera che apre questo libro: la felicità, spiega, non è una questione d’istanti, ma una presenza costante, che corre parallela a noi. Il problema è saperla intravedere, imparando a non farci abbagliare. Il padre è Roberto Vecchioni. Sono per i suoi figli Francesca, Carolina, Arrigo e Edoardo – i racconti che compongono il volume. Dalle bizzarrie vissute insieme a loro, a episodi comici e drammatici della sua carriera di insegnante; dagli amori perduti o ritrovati fino a un ritratto vivo e passionale di suo padre Aldo, Vecchioni attinge alla propria biografia per costruire un vero e proprio manuale su come imbrigliare la felicità, senza farla scivolare via finché non diventa soltanto un ricordo. Ma ci sono anche le canzoni, scritte in un arco di quasi quarant’anni. Ci sono squarci letterari: un racconto dalle Mille e una notte, la storia di Paolo e Francesca, il mito di Orfeo ed Euridice, un frammento di Saffo. C’è l’amata Casa sul lago, testimone di tanti momenti, alcuni dei quali difficili e persino spaventosi. Roberto Vecchioni ci conduce in un viaggio personale lungo quello che chiama «il tempo verticale», uno spazio che tiene uniti tra loro passato, presente e futuro, dove nulla si perde. D’altronde «la felicità non è un angolo acuto della vita o un logaritmo incalcolabile o la quadratura del cerchio: la felicità è la geometria stessa».
Autore: Roberto Vecchioni
Titolo: La Vita che si ama – Storie di felicità
Editore: Einaudi
Pagine: 168
Prezzo: 16,50 euro
Enogastronomia, Ricette & Tradizione
La ricetta della zuppa alla pavese
Gustosissimo e facile da cucinare. La zuppa alla pavese è un piatto povero della tradizione culinaria della Lombardia. Usata soprattutto nelle campagne, questa minestra è stata gradualmente riscoperta e anche proposta in diversi ristoranti della tradizione.
Ingredienti per quattro persone:
– uova 4
– pan carré nr 4 fettine
– cipolla nr 1
– sedano nr 1
– carote nr 2
– carne da bollito
– burro 40 g
– grana padano 40 g
– sale qb
Preparazione:
Per la preparazione della zuppa alla pavese è necessario preparare un litro di brodo di carne. Tagliate grossolanamente la cipolla, il sedano e la carota. Mettete le verdure tagliate a bollire in due litri d’acqua. Salate e portate a ebollizione. A questo punto aggiungete la carne da bollito. fate cuocere sino a quando non sarà cotta (circa 2 ore). Quando il brodo sarà pronto sciogliete in un tegame del burro. Aggiungete le fette di pan carré alle quali dovete togliere i bordi scuri da tutti i lati. Passateli in padella lasciando che assorbano il burro. Quando saranno ben tostate disponete le fette del pane sul fondo di una terrina che può andare in forno. Su ogni fetta rompete un uovo cercando di tenere unito il tuorlo. Cospargete pane e uovo con il grana padano grattugiato. A questo punto versate un mestolo di brodo caldo. Mettete la terrina in forno a 150 gradi e lasciate cuocere per 5 minuti. Servite il tutto ben caldo.
Rassegne Teatrali & Spettacoli, Teatro
A Tutto Govi, ecco il Festival “A. F. Lavagnino”
In occasione dei 50 anni dalla scomparsa di Gilberto Govi , gli attori della Nuova Compagnia dell’Allegria Compagnia Stabile Dialettale Teatro “Rina e Gilberto Govi” di Genova aprono il 16° Festival Internazionale A.F. Lavagnino portando in scena alcuni estratti dalla commedia in genovese Sotto a chi tocca di Luigi Orengo per la regia di Gilberto Lanzarotti. La Nuova Compagnia dell’Allegria (nome preso a prestito da una commedia di Govi) si costituisce a Genova nel 2006. Il nucleo originario era comunque già formato dal 1993 e attualmente affiliato alla F.I.T.A. (Federazione Italiana Teatro Amatori). La compagnia partecipa inoltre a numerose rassegne in Italia riscuotendo lusinghieri successi, privilegiando principalmente testi in dialetto della tradizione genovese. Da alcuni anni si presenta in veste di compagnia stabile alla rassegna teatrale dialettale “Gipponetto Govi” presso il teatro “Rina e Gilberto Govi” in Genova.
La serata proseguirà con alcune proiezioni filmiche dalle pellicole:
Che tempi! (1948, regia di G. Bianchi, musiche di A.F. Lavagnino)
Il diavolo in convento (1951, regia di N. Malasomma, musiche di A.F. Lavagnino)
Govi a Gavi (raccolta di interviste tra i cittadini del paese e i protagonisti del film)
Autore: Luigi Orengo
Regia: Gilberto Lanzarotti
Compagnia: Nuova Compagnia dell’Allegria di Genova
Data : 17 Settembre 2016, ore 21
Luogo : Abbazia di San Remigio, Parodi Ligure
Info : info@lavagninofestival.it