Musica
Riccardi Enrico
Compositore, paroliere, cantautore e produttore discografico italiano. Quando parli di Enrico Riccardi, nato a Tortona il 27 marzo 1934, parli di tutto questo. Un artista completo che ha dedicato tutta la sua vita alla musica. Ecco che, dopo aver iniziato la carriera da musicista, agli inizi degli Anni ’60 diventò cantautore. Sono infatti di quegli anni alcuni 45 giri incisi a volte usando lo pseudonimo di Rico Riccardi.
GLI ESORDI
Nel 1961 parteciperà anche alla Sei giorni della canzone con Accordi sull’acqua. Ma è la collaborazione con il paroliere Luigi Albertelli che gli permetterà di fare il salto di qualità. Il sucessò è destinato così ad arrivare grazie a Zingara, la canzone interpretata da Bobby Solo e Iva Zanicchi che vinse il Festival di Sanremo 1969.
GLI ANNI ’70
Tra la fine degli Anni ’60 e l’inizio di quelli ’70 iniziò una collaborazione la Dischi Ricordi, scrivendo canzoni di successo come Io mi fermo qui per i Dik Dik e molti brani incisi da Drupi tra cui Sereno è, Piccola e fragile e Vado via. In dimenticabile l’unione artistica con Loredana Bertè con la quale produce ed arrangia l’album d’esordio Streaking. Con Drupi ed Albertelli fondò poi nel 1976 la casa discografica Real Music, pubblicando tra gli altri artisti come Piero Focaccia, Miko e Bruno D’Andrea.Nel 1972 scrisse anche per Mina la canzone Fiume azzurro, seguita nel 1977 da Ma che bontà.
Arriviamo così al 1980 quando incise l’album Parapapà, prodotto da Roberto Dané, con cui riprende per un certo periodo l’attività di cantautore. In seguito si è anche dedicato all’attività di compositore di colonne sonore, musiche per spettacoli teatrali come I Cavalieri della Tavola Rotonda e per serie televisive come Detective Extralarge e Detective Extralarge.
Discografia completa
Innamorati della vita/Non tentarmi (Parlophon, QMSP 16315), 1961
Il divano/Le donne chic (Vedette, VV 3641), 1962
Le donne chic/Raccontalo ad un altro (Galleria del Corso, GC 093; inciso come Rico Riccardi), 1963
Ciao da Salice Terme/Grazie di essere tornata (Ariston Records, 1001; inciso come Rico Riccardi), 1964
Parapapà (RCA Italiana, PL 31513), 1980
In attività: Sì
Periodo di attività: 1961 – in attività
Album pubblicati: 5
A-B-C, Le compagnie dalla A alla Z, Teatro
BISIO Dante
Nato a Genova il 22 settembre 1917, Dante Bisio è stato un attore meteora in alcuni film degli Anni ’40 e ’50. La sua prima apparizione risale al 1947 quando prese parte al film Natale al campo 119 di Pietro Francisi con Vittorio De Sica, Aldo Fabrizi e Peppino De Filippo. Nel lungometraggio vestiva i panni di Adolfo Mancini. Si passa poi al 1950 dove compare nel cast del film I cadetti di Guascogna di Mario Mattoli con Walter Chiari e Ugo Tognazzi nella parte di un cadetto. Nel 1953 recita poi nel film La passeggiata di Renato Rascel, mentre nel 1960 lo troviamo nel lungometraggio Un mandarino per Teo di Mario Mattoli.
È scomparso a 72 anni il 7 marzo 1990. Le sue spoglia riposano nel cimitero di Riano, in provincia di Roma. A lui è stato intitolato il Teatro della cittadina laziale.
Filmografia completa
Natale al campo 119, di Pietro Francisci (1947)
I cadetti di Guascogna, di Mario Mattoli (1950)
La passeggiata di Renato, Rascel (1953)
Un mandarino per Teo, di Mario Mattoli (1960)
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ANGELERI Liliana Angela
Nata ad Alessandria, Liliana Angela Angeleri si è principalmente occupata della tradizione storico-favolistica del territorio della Provincia adattandola per il teatro e il cinema. E pensare che la Angeleri sceneggiatrice nasce un po’ per caso. «Passavo, forse nel ’91 davanti alla sede della cultura della provincia di Alessandria, in via Guasco, ho visto che vi era una conferenza tenuta dallo scrittore Alessandro Baricco. Sono salita e, durante il dibattito, ho sentito una voce imperiosa che mi ha comandato ‘Tu devi scrivere la sceneggiatura del romanzo Il regalo mandrogno‘ di Pierluigi Erizzo ed Ettore Erizzo». Così l’autrice ci ha raccontato i suoi primi passi nel mondo della letteratura.
Da qui nasce un lungo percorso fatto di studio sui canoni cinematografici, al termine del quale è nato il copione. Il lavoro però non è andato a buon fine anche a causa del rifiuto degli eredi dello scrittore. Questo però non ha fermato la donna che ha deciso di continuare a scrivere, producendo diverse sceneggiature i cui protagonisti erano personaggi della tradizione storico-letteraria della Provincia di Alessandria.
Ma la produzione potrebbe non finire qua dato che Liliana Angela Angeleri ha già in mente nuove produzioni letterarie.
Bibliografia completa:
Aleramo, narcisus.me, 2015
Il brigante gentiluomo, narcisus.me, 2015
Gagliaudo, narcisus.me, 2015
Mayno, il bandito gentiluomo, narcisus.me, 2015
Profumo di Leggenda, narcisus.me, 2015
Adelaide, Berta, Giustina e le altre umiliate, narcisus.me, 2015
Il Romanzo di Aleramo, narcisus.me, 2016
In attività: Sì
Periodo di attività: 2015 – in attività.
Libri pubblicati: 7
Altri, Miti e Leggende
La leggenda della Contessina di Tiglietto
A Tiglietto una volta c’erano le case, il fienile e la stalla del conte. La casa ora è diroccata, ma sopra a una pietra si può ancora leggere la data dell’anno in cui fu costruita 1691. La stalla e il fienile ci sono ancora e basta andare a Tiglietto per vederli. Il Conte apparteneva alla famiglia dei Valperga. Quando era giovane abitava a Pont. I suoi genitori erano padroni della torre ed egli conduceva una bella vita. Aveva un cavallo tutto suo, era sempre ben vestito e la sua più grande preoccupazione era quella di trovare come trascorrere il tempo. Un giorno, mentre passeggiava per le vie del paese, incontrò una ragazza meravigliosa. Si avvicinò e domandò alla giovane da dove venisse. Lei arrossì per la timidezza ma si fece coraggio e disse che era di Tiglietto e che era venuta a Pont per fare delle compere. Il conte le parlava con gentilezza e voleva sapere quando sarebbe ritornata.
Tutti i mesi si incontravano allo stesso posto e il giovane nobiluomo era sempre più innamorato di quella misteriosa ragazza di Tiglietto. Era deciso a sposarla e a presentarla a suo padre e a sua madre. Così un bel giorno ne parlò in famiglia. Suo padre montò su tutte furie perché la ragazza era una paesana che non avrebbe portato nulla in dote. Il giovane lo lasciò parlare, ma non cambiò idea. Allora il padre lo fece chiudere in una camera e lo tenne lì prigioniero. Alla fine cedette per amore paterno e lo liberò. Il ragazzo, appena tornato in libertà, scappò e si rifugiò a Tiglietto insieme alla sua bella. Qui i due si sposarono.
Oltre al loro amaore avevano tutto quello che potevano desiderare. Avevano mucche, capre, pecore, un piccolo campo che coltivavano. Ebbero anche una bambina. La piccola era bellissima, proprio come la madre. Capelli biondi, occhi blu e pelle bianca come il latte. A sedici anni era ormai una ragazza. Quando suo padre l’accompagnava a messa, tutti i ragazzi si voltavano a guardarla. La madre, che ormai da tempo aveva problemi di salute, usciva sempre meno perciò raccomandava al marito di non lasciare mai sola la ragazza che era così bella. La donna temeva che avrebbe potuto succederle qualcosa di bturro.
Per la strada di Tiglietto c’era una piazza in cui facevano il carbone. I carbonai vedevano sempre passare il conte e la figlia in direzione di Ronco. Uno di loro si era innamorato della contessina. Era un bel ragazzo, grande e grosso! Tutte le volte che la vedeva si perdeva a fissarla e, con lo sguardo, cercava di farle capire i suoi sentimenti. La contessina si era accorta del carbonaio che la guardava sempre e quel giovane le piaceva. Anche se era tutto sporco, aveva un bel sorriso e un viso affascinante. Inoltre sembrava bravo e gentile. La forza non gli mancava e avrebbe potuto difenderla da ogni pericolo. Un giorno il carbonaio si fece coraggio. Fermò il conte e gli disse: «Io sono di Bogera! Non sono ricco, ma ho voglia di lavorare e posso mantenere la ragazza! Se me lo permettete vorrei sposare vostra figlia. Io le voglio bene e vi prometto che la tratterò come una regina!». Il conte ci pensò un po’ e poi rispose: «Non è che io voglia offenderti! Tu sei senz’altro un ragazzo per bene! Mia figlia è però troppo giovane e per il momento io non la dò a nessuno. E tanto delicata e ha bisogno di ogni cura. Tu sei un carbonaio e con le tue mani nere non ci metti molto a rovinarle la pelle! Aspetta ancora qualche anno e poi vedremo. Se anche lei ti vorrà, potrai prenderla! Ora lei è ancora troppo innocente ed è meglio lasciarla stare!».
Il giovane non era molto contento della risposta avuta: quando ci si vuole bene, non si ha voglia di aspettare! Anche la ragazza avrebbe voluto fidanzarsi con il carbonaio che le piaceva proprio tanto. Così, come capita tante volte, cominciarono a incontrarsi di nascosto, senza che il conte lo sapesse. La ragazza andava a pascolare le pecore nei prati sotto a Colmetto e faceva dei segnali al carbonaio, che da Bogera la vedeva, e faceva sempre attenzione ai suoi richiami. Poi partiva di corsa per andare a trovarla. Si incontravano sotto un masso che ancora oggi quelli di Tiglietto chiamano pietra dell’amore. La storia durava già da un po’ di tempo e la gente incominciava a chiacchierare, ma a casa della ragazza non si erano ancora accorti di nulla.
Un giorno il conte si ammalò e in breve tempo morì. Figlia e moglie ora erano sole. La mamma era sempre più affaticata e non poteva muoversi di casa. Così era compito della ragazza occuparsi di tutte le cose. Tutte le domeniche andava a Ronco a messa e intanto faceva la spesa. Ora che non c’era più suo padre a proteggerla i ragazzi incominciavano a farsi avanti: le dicevano parole scherzose, le facevano complimenti e la invitavano al ballo. La ragazza cercava sempre di essere seria e di comportarsi come le diceva la madre, ma man mano che il tempo passava i ragazzi avevano sempre più confidenza con lei e non avevano più nessuna timidezza e nessun riguardo. Un bel giorno sei o sette giovani di Fatinera, più prepotenti degli altri, la obbligarono ad andare al loro paese e la tennero prigioniera, ma non osavano farle del male. Quando si venne a conoscenza del fatto i frati di Convento andarono a liberarla.
Da allora, però, la povera ragazza non poteva più vivere tranquillamente: se andava a Ronco, la rapivano quelli di Fatinera e i frati dovevano sempre andare a liberarla, se andava a Pont la rapivano quelli della “torre” e doveva partire il prete per andare a cercarla. Era una vita che non poteva più continuare. In più la poveretta era addolorata e piangeva giorno e notte perché il suo carbonaio non faceva nulla per difenderla. Eppure era un uomo forte: grande e grosso. Da un po’ di tempo non si faceva più vedere. Lei andava sempre giù al monte dell’amore, gli faceva dei segnali, ma il giovane non si presentava più. Il carbonaro l’aveva abbandonata. Credeva che qualcuno le avesse fatto del male e non fosse più una ragazza per bene. Invece la povera contessina non l’aveva mai tradito e nessuno aveva mai osato approfittare di lei poiché i frati e il prete la proteggevano.
Sua madre però aveva una bella croce. Tutte le volte che doveva mandarla da qualche parte le veniva già male prima. E viveva solo più con il cuore spaventato. Tanto che la madre, in preda alla disperazione, fece una strana preghiera alla Madonna: «Oh Santa Vergine del cielo, fammi la grazia di prendere con te questa ragazza. Perché il Signore ha voluto crearla così bella? Non vedi? Tutti la tormentano! Io non posso più fare una vita così! Se tu mi fai la grazia di prendertela con te nel cielo io cercherò di alzarmi da questo letto e andrò fino a Colmetto cantando le tue Litanie!». Pochi giorni dopo la contessina si ammalò e morì. La madre ricordando il voto fatto alla Madonna provò ad alzarsi dal letto e ad incamminarsi verso Colmetto pregando, ma le forze l’abbandonarono facendola morire lungo il tragitto.
In quei giorni il carbonaio aveva conosciuto una ragazza di Convento e tutte le sere andava a trovarla. Quando passava sul ponte del Crest gli sembrava di vedere un velo bianco, gettato sulla strada. Cercava di andargli vicino ma il velo spariva immediatamente. Dopo un po’ di tempo il giovane si era fidanzato con la ragazza di Convento. Avevano fissato la data del matrimonio e la sera prima delle nozze andava di nuovo su a trovare la ragazza. Ma quando giunse al ponte del Crest, vide di nuovo il famoso velo bianco. Egli guardò bene e gli sembrò di vedere la figura della bella Contessina. Quando la vide non osò più muoversi. Cercò di farsi coraggio e disse: «Non farmi stare in pena! Se tu sei la contessina dimmi cosa vuoi da me!». L’ombra gli rispose: «Voglio che tu non ti sposi! Giurami di volermi bene per tutta la vita! Io ho mantenuto la mia parola e sono morta innocente come tu mi hai conosciuta! Tu non puoi sposare un’altra ragazza! Domani sarai il mio sposo!». Dicendo queste parole il velo si alzò verso il cielo e scomparve.
Il povero carbonaio fuggì di corsa verso la casa della sua fidanzata e quando arrivò non aveva più fiato per la corsa che aveva fatto. Si sedette su una sedia e voleva raccontare tutto ma le parole non gli uscivano dalla bocca. Era pallido come un morto e tremava come una foglia. Provarono a dargli del caffè, della grappa, insomma, qualcosa di fore, ma non gli passava. Dopo un po’ cadde per terra tutto irrigidito: era morto! Così invece di festeggiare le nozze, fecero il funerale e il carbonaio si riunì alla sua contessina.
Leggenda liberamente tratta da oldiste.vallesoana.it