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Ariondassa
Ariondassa nasce nel 1996 dall’incontro tra musicisti provenienti da realtà molto affermate quali La Ciapa Rusa, i Tre Martelli e Ombra Gaja. A questi elementi di tutto rispetto si è poi aggiunta anche l’esperta suonatrice di ghironda Emanuela Bellis.
Il gruppo ripropone, anche grazie alla poliedricità e alle straordinarie capacità di cantante e cantastorie di ‘Chacho’ Marchelli, un repertorio di canti e balli dell’antico Piemonte: dalle musiche che hanno scandito per secoli il lavoro nei campi alle serate di festa sino alle solennità religiose della vita contadina. Il repertorio, oltre alla ricerca personale fatta dai musicisti, è stata raccolta avvalendosi della collaborazione del Centro Etnologico Canavesano e basandosi sulle ormai famose raccolte di Costantino Nigra e Leone Sinigaglia.
Gli strumenti utilizzati, oltre ai classici della tradizione popolare come ghironda, organetto, cornamusa e piffero, sono un chiaro esempio di come le persone una volta sapessero ingegnarsi con quel poco che avevano per poter fare festa. Troviamo, infatti, strumenti poveri come le ravi (zucche essiccate usate come kazoo), le tachenettes (ossa di animali usate come percussioni) e la fruja (sonaglio in legno e metallo).
Ariondassa ha suonato e continua a suonare in Italia e in Europa con alcune apparizioni anche negli Usa. La band è apparsa su emittenti televisive e ha collaborato con vari esponenti del folk sia italiano che estero. Tra le collaborazioni più importanti ricordiamo i catalani El Pont d’Arcalis (coi quali hanno inciso un album), il trio vocale bretone-gallese Kanta, e La Kinkerne (storico gruppo della Savoia). Ma la collaborazione forse più significativa a livello piemontese è quella con Bruno Carbone, l’ultimo cantastorie ‘originale’ delle Langhe, insieme al quale hanno registrato il cd live Il tabernacolo dell’onesto peccato.
Discografia completa:
Il tabernacolo dell’onesto peccato (S.M.C. Records – MP0108) 2001
Del Piemont als Pirineus (DiscMedi-Blau – DM96-02) 2003
In cerca di grane (FolkClub Ethnosuoni – ES5350) 2005
Campagne grame (FolkClub Ethnosuoni – ES5350) 2011
In attività: Sì
Periodo di attività: 1996 – in attivit
Album pubblicati: 4
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BandaBrisca
La BandaBrisca nasce nel 1995 dalla volontà di Bernardo Beisso che raccoglie attorno a se alcuni musicisti radicati tra le colline dell’Alto Monferrato e l’Appennino Alessandrino e legati alla musica di cultura tradizionale. La ricerca e la riscoperta di quei suoni e quei canti che per tanto tempo e per svariati motivi erano rimasti sopiti nella memoria di pochi anziani, ha permesso alla BandaBrisca di proporre una musica che possa unire vecchi e giovani in una festa grandiosa che ha l’apice nei loro concerti e serate danzanti.
Nonostante siano piemontesi, il loro repertorio abbraccia tutto l’areale delle cosiddette Quattro Province, e cioè Alessandria, Piacenza, Genova e Pavia. Questa zona, divisa tra quattro Regioni differenti, ha un patrimonio culturale comune e molto omogeneo. Parlare di BandaBrisca, però, non significa solamente parlare di una band, ma vuol dire raccontare di un universo che ruota attorno alla cultura e alle sonorità della tradizione.
La BandaBrisca, infatti, si costituisce in associazione nel 1998 e raccoglie, oltre ai musicisti, danzatori e appassionati delle danze tradizionali. All’interno del progetto troviamo così altre tre realtà meritevoli di essere menzionate. La prima di queste, nonché interna alla BandaBrisca, sono I Pifferi della BandaBrisca, un trio di musicisti con la voglia di riproporre quelle sonorità tipicamente appenniniche in cui era preponderante la presenza di piffero e musa. La seconda realtà sono le Incanto, un trio tutto femminile che propone uno spettacolo di canzoni cantato da sole voci di donna, come era solito fare nei tempi andati. Infine il Gruppo Danze BandaBrisca che organizza da anni corsi di ballo tradizionale.
BandaBrisca in più di 15 anni di attività ha tenuto concerti in varie nazioni europee, da anni organizza festival di musica e tradizione in paesi dell’alessandrino, come ad esempio Castelletto d’Orba e Silvano d’Orba e ha addirittura partecipato a convegni di etnomusicologia con l’Università degli Studi di Genova.
Discografia completa:
BandaBrisca (2005)
Io Ballo Brisco live (2010)
…Vola Stornello Pungolo (cd dei Pifferi della Bandabrisca)
In attività: Sì
Periodo di attività: 1995 – in attivit
Album pubblicati: 2+1
Sito ufficiale: bandabrisca.it
Teatro, Un po' di storia...
Il Teatro Coccia di Novara
Il primo teatro di Novara ha una storia tutto sommato recente. Eretto su progetto dell’architetto pontificio Cosimo Morelli, venne infatti inaugurato solo nel 1779. Col passare degli anni la struttura non si rivelò più adatta alle esigenze teatrali del tempo. Il palco era poco capiente e male si adattava ai nuovi melodrammi, agli spettacoli circensi e di burattini tanto amati dalla classe borghese. Inoltre la città, che era in continua evoluzione, esigeva nuovi simboli dopo la costruzione della cattedrale e della cupola di San Gaudenzio. Nasce da qui l’esigenza di una nuova struttura. Tra il 1853 e il 1855 fu così costruito il Teatro Sociale che da subito entrò in competizione con quello più antico. Il motivo? I due teatri rappresentavano perfettamente la dicotomia della società del tempo, divisa tra la compassata aristocrazia legata alle tradizionali rappresentazioni liriche e l’esuberante borghesia cittadina attratta dai nuovi tipi di intrattenimento.
Nel 1880 l’amministrazione comunale stabilì così l’acquisto sia del Sociale sia del teatro morelliano, che già dal 1873 aveva assunto la denominazione di Teatro Coccia, in onore di Carlo Coccia, celebre maestro di cappella del Duomo di Novara. L’intento era di sostituire entrambi gli edifici con una nuova struttura.
Nel 1881 l’architetto Giuseppe Oliverio, su iniziale progetto di Andrea Scala, rivide il piano di costruzione del nuovo stabile che inizialmente avrebbe dovuto sorgere di fianco al castello in Piazza Rivarola. Negli stessi anni il consigliere comunale Andreoni avanzò l’idea di ristrutturare il Sociale, ma l’amministrazione precisò che solo uno dei due progetti sarebbe stato approvato: è palese che, oltre che tra due progetti architettonici, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto scegliere anche tra due progetti politici.
LA “GUERRA” DEI TEATRI
Nel mentre si riformò la Società dei Palchettisti, scioltasi con la cessione del teatro, coordinata dal marchese Luigi Tornielli, sindaco di Novara, che fece ostruzionismo contro la ristrutturazione del Sociale e spinse per l’edificazione del nuovo Coccia. La presa di posizione del Tornielli fu fondamentale e la commissione istituita dal Comune scelse di attuare il progetto dell’architetto Oliverio. Per far fronte ai costi il Comune concesse l’area del vecchio Coccia per l’edificazione e 220 mila lire per la costruzione; le restanti spese sarebbero state coperte collocando 49 azioni da cinquemila lire cadauna. Nel 1886 ci fu la posa della prima pietra del nuovo teatro, costruito anche con il materiale del precedente edificio che venne demolito quasi completamente.
Il 22 dicembre 1888 fu inaugurato con l’opera Gli Ugonotti di Meyerbeer diretta da un giovanissimo Arturo Toscanini che rimase così piacevolmente colpito da quell’esperienza da scrivere ormai in tarda età in una lettera al suo pupillo novarese Guido Cantelli: «Unirò il mio applauso a quello dei tuoi concittadini che ti onorano, forse, in quel teatro che io, non ancora ventiduenne ebbi l’onore e il piacere d’inaugurare nel carnevale 1888-89… Oh! Il bel tempo che fu!!!».
IL NUOVO CHE AVANZA
Il nuovo teatro sostituì, nell’immaginario dei novaresi, il precedente edificio settecentesco. Esso occupava un’area quattro volte maggiore ed era orientato diversamente rispetto al vecchio Coccia, con l’entrata sull’attuale via Fratelli Rosselli anziché sull’odierno largo Puccini.
La facciata principale, con primo piano in stile dorico e i successivi in stile ionico, venne circondata da un porticato in granito rosa di Baveno. L’esterno fu dipinto di color grigio granito. L’atrio con pavimento a mosaico fu abbellito anche da quattro colonne di ghisa e altrettante nicchie contenenti i busti di Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini e Gaetano Donizetti; in platea furono posizionati i busti di Saverio Mercadante e di Carlo Coccia. Ancor oggi la grande sala interna, a ferro di cavallo, ha tre ordini di palchi, al di sopra dei quali vi è la galleria. I palchi, con decori rinascimentali, sul retro potevano contare su camerini privati e retropalchi. Per far fronte agli allora popolari spettacoli equestri che necessitavano di ampi spazi, il palcoscenico era di grandi dimensioni (16 metri per 23 metri) e aveva un’area centrale mobile, nonché delle aree di servizio nascoste. Il progetto di Giuseppe Oliverio, per ragioni di bilancio, fu completato solo nel 1928. Nello stesso anno il teatro Sociale fu demolito per fare posto al palazzo delle poste: il Coccia consolidò così la sua importanza e divenne il simbolo per eccellenza della vita culturale dei novaresi.
Nel complesso architettonico del Teatro Coccia sorge il Piccolo Coccia, inaugurato nel novembre del 2005. Uno spazio polifunzionale utilizzato per presentazioni editoriali, conferenze, mostre, sala prove e convegni. Con un palco allestito di audio, luci e videoproiettore e i suoi 98 posti a sedere, modulabili, è il luogo ideale anche per spettacoli con necessità tecniche e di spazi ridotti.
David Robotti
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Il Teatro Civico di Tortona
Il Teatro Civico di Tortona venne realizzato, tra il 1836 e il 1838, in elegante e sobrio stile neoclassico su progetto sviluppato dall’ingegnere tortonese Pietro Pernigotti. L’interno, suddiviso in tre ordini di palchi, con platea e loggione, è decorato con stucchi ed affreschi. Opera del pittore e scenografo Luigi Vacca (1778-1854) di Torino sono invece il sipario rappresentante il mito di Orfeo e il medaglione centrale del soffitto in cui vengono riportate le muse ispiratrici delle arti: la Musica, la Poesia e la Pittura. Il restauro conservativo e l’adeguamento funzionale di cui è stato oggetto negli Anni ’80 lo hanno restituito alla piena fruibilità pubblica.
L’OTTOCENTO
Bisogna premettere che a Tortona si svolgevano delle stagioni teatrali con regolarità almeno dal 1802, quando, sull’onda della confisca napoleonica dei beni religiosi, era stata adattata a teatro la chiesa di San Simone. L’inadeguatezza di tale sede aveva spinto però gli amministratori a cercarne una più adeguata e a sostenere senza esitazioni le spese necessarie. Verso la fine degli Anni ’20 dell’Ottocento i cittadini delle province del Regno Sabaudo avevano sviluppato una tale passione per il teatro che la segreteria di Stato, preoccupata per i costi di gestione che ricadevano sulle amministrazioni locali, propose di permettere la costruzione di nuovi teatri solo «in città dove si contano numerosi e ricchi abitanti o non meno di 4000 abitanti». Tortona, all’epoca capoluogo di provincia che il sindaco definiva «Città Cospicua e Colta» oltre che fiorente centro di scambi agricoli, non era certo al di sotto del requisito numerico. Tuttavia la posizione di confine fra Piemonte e Liguria faceva sì che gli interessi economici fossero spesso lontani (i proprietari terrieri erano in gran parte genovesi). Per questo motivo il Comune dovette sobbarcarsi una parte notevole della spesa, non prima di aver convinto la restia amministrazione centrale dell’effettiva reperibilità dei fondi.
Da quando il sindaco Fulvio Crozza era riuscito, nel 1829, a far passare a voti unanimi una delibera per la costruzione del teatro, all’arrivo delle Regie Patenti, il 1 settembre del 1835, passarono dunque alcuni anni. Nel 1832, tuttavia l’amministrazione aveva contattato l’architetto Pietro Pernigotti affidandogli il delicato compito della costruzione dell’edificio. La spesa, abbastanza cospicua, si prevedeva in 82 mila lire, di cui 51.550 ricavati dalla vendita dei palchetti e le restanti 30.450 a carico del Comune.
Inizialmente l’ambizioso progetto di Pernigotti prevedeva tre ordini di palchi e una capienza di 450 persone e si ispirava al Teatro Argentina di Roma. Come spazi pubblici era prevista, oltre alla platea, anche la galleria (detta ‘paradiso’); inoltre era fatto obbligo ai palchettisti di occupare personalmente i palchetti almeno nel mese di maggio o altrimenti di affittarli. I lavori, iniziati nel 1836, furono appena rallentati per l’epidemia di colera dello stesso anno. Il 2 maggio del 1838 il sipario si aprì sul Teatro Comunale con una recita di Norma seguita dal balletto La scimmia riconoscente. Fu un successo soprattutto per l’edificio e infatti Pernigotti venne sommerso dagli applausi quando finalmente uscì sul palco.
Da allora la storia del Comunale rimase legata alla lirica fino alla chiusura, con un’interruzione per i turbolenti avvenimenti storici del 1848 e 1849. Nel passaggio dal Teatro di S. Simone al Comunale, il pubblico tortonese ci aveva guadagnato non solo in comodità: nelle classifiche degli impresari dell’epoca, il S. Simone risultava infatti teatro di terza classe.
I lavori di ammodernamento si susseguivano, in buona parte sostenuti da donatori privati: nel 1840 Giacomo Martinetti fornì il teatro di una grande stufa, pagata 2.200 lire, mentre l’illuminazione fu rinnovata da Giovanni Bonassola di Milano, che nel 1845 comprò un nuovo lampadario per 1000,82 di lire più le spese di dogana e trasporto. Nel 1847 invece il Comune affrontò il primo restauro, consolidando le strutture di copertura che davano segni di cedimento. Anche la prosa trovava spazio al Comunale, per lo meno a partire dal 1841, quando la Compagnia Goldoni organizzò una stagione di 24 spettacoli. Ma mai si raggiunsero i fasti toccati dalla lirica con il Mefistofele di Boito del 1915, protagonista il basso Antonio Sabellico, uno dei più grandi interpreti del ruolo a cavallo fra Otto e Novecento, o con la Traviata del 1921, interpretata dal celebre soprano Giuseppina Finzi Magrini.
IL NOVECENTO
Lodato dai cantanti per la sua perfetta acustica, il Comunale scampò alla sorte toccata a molti altri teatri negli anni ’30 del secolo scorso e non divenne sala cinematografica. Le sue attività furono però interrotte dalla guerra: dopo l’ultima stagione regolare, svoltasi nel 1939, il sipario si alzò solo saltuariamente negli anni ’40; nel 1952 il teatro fu dichiarato inagibile e chiuso. Solo nel 1983, dopo una nuova perizia, si dà il via ai lavori di restauro e viene riaperto il 2 maggio del 1990.
Dal 1990, anno della riapertura, l’Amministrazione Comunale ha affidato al Teatro Stabile di Torino la gestione completa del Teatro Civico di Tortona, come avviene a Torino per il Carignano. La stagione proposta ogni anno non ha nulla da invidiare a quella dei maggiori teatri pubblici e privati delle grandi città. Partendo dal presupposto che il Teatro Civico rappresenta a Tortona l’unica sala di spettacolo dal vivo, si cerca in ogni stagione di offrire una gamma di spettacoli molto diversi fra loro, in grado di coniugare qualità e richiamo, tradizione ed originalità. Non solo prosa, quindi, ma anche cabaret, musical, operette.
I piu’ grandi nomi del teatro italiano sono già stati ospitati dal Teatro Civico di Tortona: Vittorio Gassman, Gabriele Lavia, Alberto Lionello, Enrico Maria Salerno, Rossella Falk, Valeria Moriconi, Giorgio Albertazzi, Anna Proclemer, Pino Micol, Sergio Fantoni, Ornella Vanoni, Ernesto Calindri, Aroldo Tieri, Giuliana Lojodice, Umberto Orsini, Pamela Villoresi, e registi prestigiosi quali Giuseppe Patroni Griffi, Luca Ronconi, Saverio Marconi, Mario Monicelli, Maurizio Scaparro, Mauro Avogadro, Gabriele Vacis (solo per citare i più rappresentativi).
Molto importanti anche le stagioni concertistiche, la cui organizzazione e’ affidata a due Associazioni locali: gli “Amici della Musica”e l'”A.GI.MUS.”, che hanno portato a Tortona nomi fra i più famosi della concertistica contemporanea (ne cito solo due, rispettivamente per le due Associazioni: Sviatoslav Richter e Uto Ughi).
Molto seguita dal pubblico più giovane è la stagione di cabaret, che ha proposto, tra gli altri, Alessandro Bergonzoni, Lella Costa, Enzo Iacchetti, David Riondino, Aldo Giovanni & Giacomo, Corrado Guzzanti. Anche la musica leggera e’ stata spesso presente al Civico: Gino Paoli, Giorgio Gaber, Anna Oxa, Enzo Jannacci, Loredana Berte’, Ron.
Il Teatro Civico di Tortona è ormai un punto di riferimento per gli appassionati di tutta la provincia di Alessandria e non solo.
Teatro, Un po' di storia...
Il Teatro Sociale di Valenza
La città di Valenza nell’Ottocento
La storia del Teatro Sociale di Valenza ha origine, con qualche ritardo rispetto ad altri edifici per lo spettacolo in Piemonte, in piena età risorgimentale. L’incarico di realizzare il progetto fu infatti assegnato nel 1853, quando Valenza faceva ancora parte del Regno di Sardegna e il teatro fu inaugurato ad unità nazionale raggiunta nel 1861.
In realtà la realizzazione di un teatro per la città di Valenza già era stata proposta verso la metà dell’ottocento .
La nascita del Teatro Sociale fu uno dei primi interventi di razionalizzazione e modernizzazione dell’area centrale.
La soluzione individuata per il nuovo teatro utilizzava l’area della chiesa e convento di San Francesco, interessata da un violento incendio che il 5 settembre 1842 ridusse a rovina un gruppo di immobili storici la cui data di fondazione risaliva al 1322.
Una prima planimetria, da cui si ricava la pianta della chiesa, risale al 20 dicembre 1852 ed è firmata dall’ingegner Eugenio Clerico. Si tratta della “Copia di Tipo dei locali di San Francesco, per corredo della relazione dell’ing. Clerico sulla discussione del Progetto di riadattamento di detti locali'”.
Nel 1852 l’amministrazione comunale tentò di vendere gli immobili con il sistema dell’asta pubblica e con l’obbligo per l’acquirente di riedificare; ma la procedura andò deserta e si fece strada l’idea di un intervento diretto per sanare un’area centrale interessata da varie operazioni di tipo urbanistico”
Il desiderio di un teatro
Il Comune stesso “ritenuto la mancanza in questa Città di un Teatro, contemplava tra le altre costruzioni possibili in questi siti, anche la fabbricazione di un Teatro, intendendo con questo di soddisfare ad un desiderio venuto ragionevolmente a manifestarsi tra questa popolazione siccome corrispondente alle esigenze dei tempi di progrediente civilizzazione ed in pari tempo dell’utile che si ripromette a possibile aversi dalla vendita delle logge a risultarne”
Emerge dunque chiaramente come l’apertura del teatro venisse sentita dagli amministratori del tempo come un segno di adeguamento e di modernità, sia pure con il ricorso a metodologie tipiche della gestione teatrale settecentesca, come quella del finanziamento mediante la vendita dei palchi.
L’incarico per il nuovo teatro venne affidato all’ingegnere alessandrino Ernesto Clerico, che ne aveva redatto un progetto già nel 1853 e che veniva chiamato a seguirne i lavori, iniziati solo nel 1857 e conclusi nel 1861.
La Società del Teatro
Nella seduta del Consiglio Comunale del 14 marzo 1856 veniva ufficialmente comunicata la nascita della
Società del Teatro e la proposta di questa di costruire un teatro sull’area dell’ex San Francese Nell’accettare, il Comune poneva le seguenti condizioni: a) il trasferimento a carico della Società de oneri derivanti dai canoni annui stabiliti con atto del notaio Solari del 23 luglio 1847; b) la riserva di d palchi di proprietà comunale, uno centrale nel secondo ordine, l’altro di proscenio nel terzo ordine; e) costituzione di un’efficace garanzia al Comune nel contratto definitivo di cessione. Questa linea di co portamento veniva ulteriormente modificata a distanza di un mese, in quanto nella seduta del 22 aprili Consiglio rinunciava a far pagare alla Società il canone demaniale e cedeva un’area inferiore a quella e originariamente definita.
Si arrivava così al 31 luglio 1856, e cioè alla seduta in cui il Comune di Valenza approvava il “Diviso contratto” per la cessione dell’area alla Società del teatro. Il contratto, consistente in undici articoli, e noto integralmente perché riportato nell’atto rogato dal notaio Serpentino in data 18 dicembre 1856 coi quale si poneva fine a una fase decisiva della laboriosa vicenda.
In realtà, le difficoltà non erano terminate perché con il 1857 iniziava il travagliato rapporto tra la Società, il Comune e l’appaltatore.
Cominciata la costruzione, infatti, il Comune non accedeva alla richiesta di cedere ulteriore terreno per l’ampliamento del palcoscenico. La decisione dell’impresa di invadere un sedime di pertinenza comunale (cioè il cortile dei macelli) provocava un decreto di inibizione. Pertanto la Società doveva intervenire richiedendo la dichiarazione di pubblica utilità della variante presentata dall’ing. Clerico, onde ottenere l’espropriazione del terreno comunale. La controversia fu risolta solo nel 1859 con il pagamento di un’indennità e la costruzione di un pozzo da parte della Società. Due anni dopo, nel 1861, si giungeva finalmente all’inaugurazione del teatro.
La struttura del primo teatro
La tipologia del teatro di Clerico rispecchiava, dunque, quella tipica del teatro all’italiana, con una planimetria tripartita: una destinata agli ambienti di servizio; una seconda, centrale, riservata agli spettatori; una terza per il palcoscenico ed i relativi servizi. La sala, con pianta a ferro di cavallo, era limitata da un struttura a vaso, comprendente tre ordini di palchi, ciascuno dei quali suddiviso – con lieve modifica del progetto iniziale – in sedici palchetti, compresi quelli di proscenio. Erano presenti, secondo il costume tipico del tempo, un palco reale ed il loggione soprastante.
Quasi un secolo di restauri
Il Teatro di Valenza rimase pressoché inalterato fino al 1923, anno in cui si decise di apportarvi alcune importanti modifiche funzionali rimaste poi immutate fino ai recenti lavori di restauro, con l’eccezione di interventi realizzati nella seconda metà del Novecento nel foyer, nella cabina di proiezione e nelle finiture dei prospetti. Gli interventi previsti per il teatro di Valenza riguardarono soprattutto la platea e la volta della sala. Si procedette all’abbattimento del muro d’ambito della platea, che fu sostituito da snelli pilastri cilindrici in ghisa, nonché all’abbassamento del piano della platea stessa, al fine di migliorare la possibilità di accedere al primo ordine di palchi.
L’assetto del 1923 rimase sostanzialmente invariato fino agli anni recenti, con l’eccezione di alcune modifiche apportate all’atrio e ai materiali di finitura del prospetto principale.
II primo atto ufficiale del secondo grande e storico restauro arriva nel 1993. Con l’ approvazione da parte della Giunta Comunale del disciplinare per la progettazione integrale e coordinata, affidata ad un gruppo di tecnici locali (ing. Enzo Evaso, ing. Giovanni Angeleri, arch. Claudio Bobbio). Il mandato dell’Amministrazione ai progettisti è quello di recuperare l’antico Teatro, ricavando nel contempo una serie di locali accessori che possano rendere il teatro più versatile ed efficiente, conservando così tutta la suggestione del Teatro ottocentesco.
Nel 1999 viene varata la variante che riguarda la soluzione concordata con le Soprintendenze per il restauro della facciata.
La variante del 1999 riguarda principalmente la parte di fabbricato prospiciente piazzetta Verdi: il nuovo corpo di fabbrica, addossato al volume del Teatro vero e proprio, si innesta mimeticamente, proseguendo idealmente la facciata ottocentesca di corso Garibaldi, riprendendo materiali e motivi, presentandosi come uno spazio dentro il quale si interfacciano l’esterno e l’interno, quasi una piazzetta interna, che viene anche pensata per funzionare, alla fine dei lavori complessivi, in un unicum con il Foyer del Teatro.
La nuova saletta cinematografica (98 posti) viene inaugurata nel novembre 2000, e ha continuato a funzionare, unico cinema della città, nell’attesa paziente della conclusione dei lavori del Teatro.
Anno 2007, il Teatro Sociale di Valenza ha nuova vita
II rinnovato Teatro Sociale di Valenza è dunque pronto per l’inaugurazione, fissata per il giorno 19 gennaio del 2007. Proprio gli ultimi mesi precedenti la riapertura sono portatori di altre novità, le due città decidono di dare vita ad una nuova figura amministrativa nel comparto culturale. Si tratta dell’acquisizione da parte del Comune di Valenza di alcune quote della società ATA (Azienda Teatrale di Alessandria) conseguente ad un accordo che prevede la presenza valenzana nel Consiglio di Amministrazione dell’azienda e l’affidamento alla stessa ATA della gestione del rinnovato Teatro Sociale. L’evento ha effetti importanti sul piano politico e su quello organizzativo. L’ATA diviene un sistema a carattere territoriale, in quanto gestisce in modo organico due teatri, secondo quanto stabilito dai Soci attraverso l’Assemblea e il Consiglio di Amministrazione.
Con questa scelta si intende dar vita ad un sistema integrato che prevede vari obiettivi: pensare al pubblico alessandrino-valenzano come un pubblico unico; attivare, di conseguenza, forme di promozione di comunicazione adeguate; coinvolgere il Sociale nel progetto di centro produttivo teatrale che Regione Piemonte ha finanziato in Alessandria come secondo polo regionale; esaltare, e quindi rendere complementari nella programmazione, le peculiarità delle due sale teatrali, coordinando in modo reciprocamente utile il cartellone principale, le attività di spettacolo per le scuole, la programmazione cinematografica. Una nuova stagione per Valenza e il suo teatro è incominciata.
David Robotti