Teatro, Un po' di storia...
Il Teatro alla Scala di Milano
Il Teatro alla Scala, è il principale teatro d’opera di Milano e viene universalmente considerato come uno dei più prestigiosi teatri al mondo. Inaugurato il 3 agosto 1778 con L’Europa riconosciuta composta per l’occasione da Antonio Salieri prese il nome dalla Chiesa di Santa Maria alla Scala demolita per far posto al Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala. A partire dall’anno di fondazione è sede dell’omonimo coro, dell’orchestra, del corpo di Ballo, e dal 1982 anche della Filarmonica. Il complesso teatrale è situato nell’omonima piazza, affiancato dal Casino Ricordi, oggi sede del Museo teatrale alla Scala.
L’edificio fu costruito in conformità al decreto dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria dopo che un incendio, divampato il 26 febbraio 1776, aveva distrutto il teatro di corte. Il progetto venne affidato al celebre architetto Giuseppe Piermarini, il quale provvide anche al disegno del “Teatro Interinale”, una struttura temporanea costruita presso la chiesa di San Giovanni in Conca, e del Teatro della Cannobiana, dalla pianta assai simile a quella della Scala, ma in dimensione ridotta, dedicato a spettacoli più “popolari”. La decorazione pittorica fu realizzata da Giuseppe Levati e Giuseppe Reina. Al contrario Domenico Riccardi dipinse il sipario, rappresentante, pare su suggerimento del Parini, il “Parnaso”. Le spese per l’edificazione del nuovo teatro furono sostenute dai palchettisti del “Regio Ducale” in cambio del rinnovo della proprietà dei palchi.
I lavori di demolizione della collegiata di Santa Maria iniziarono il 5 agosto 1776, il 28 maggio 1778 si svolsero le prime prove di acustica e il 3 agosto, alla presenza del governatore di Milano, l’arciduca Ferdinando d’Asburgo-Este, di Maria Beatrice d’Este, del conte Carlo Giuseppe di Firmian e del duca Francesco III d’Este, venne finalmente inaugurato.
Il teatro non era all’epoca soltanto un luogo di spettacolo: la platea era spesso destinata al ballo, i palchi venivano usati dai proprietari per ricevervi degli invitati, mangiare e gestire la propria vita sociale, nel ridotto ed in un altro spazio in corrispondenza del quinto ordine di palchi si giocava d’azzardo (tra i vari giochi figura anche la roulette, introdotta dall’impresario Domenico Barbaja nel 1805). Durante gli anni di dominazione austriaca e francese, la Scala era finanziata, oltre dagli introiti provenienti dal gioco, dalle stesse famiglie che avevano voluto la costruzione del teatro e ne conservavano la proprietà attraverso le quote dei palchi. Mentre i primi tre ordini rimasero per molti anni di proprietà dell’aristocrazia, il quarto e il quinto erano per lo più occupati dall’alta borghesia, che a partire dagli anni venti fa un massiccio ingresso in teatro. In platea, ed ancora di più in loggione, vi è un pubblico misto di militari, giovani aristocratici, borghesi, artigiani.
L’Ottocento
Tra la primavera e l’estate del 1807, le stagioni furono trasferite alla Canobbiana a causa di importanti lavori di rifacimento delle decorazioni interne, ridisegnate secondo il gusto neoclassico mentre nel 1814, a seguito della demolizione di alcuni edifici tra i quali il convento di San Giuseppe, venne ampliato il palcoscenico secondo il progetto di Luigi Canonica. Un grande lampadario con ottantaquattro lumi a petrolio, disegnato dallo scenografo Alessandro Sanquirico, venne appeso al centro del soffitto nel 1823. Contrastanti furono le reazioni: contro i sostenitori dell’innovazione alzava la voce chi riteneva che il lampadario illuminasse troppo la sala, permettendo agli sguardi indiscreti di penetrare nell’intimità dei palchi.
Nel 1830, le fasce tra gli ordini tra i palchi vennero decorate, sempre su indicazione del Sanquirico, con rilievi dorati e Francesco Hayez realizzò una nuova decorazione della volta della sala, visibile ancora nel 1875, quando fu sostituita da una decorazione a grisaille. Nel 1835, su progetto di Pietro Pestagalli, vennero aggiunti nella facciata due piccoli corpi laterali sormontati da terrazzi.
Giuseppe Verdi (1813-1901) esordì alla Scala nel novembre 1839 con Oberto, Conte di San Bonifacio con Mary Shaw, Lorenzo Salvi ed Ignazio Marini diretti da Eugenio Cavallini, opera di stampo donizettiano, ma con alcune sue peculiarità drammatiche che piacquero al pubblico, decretandone un buon successo. Visto l’esito dell’Oberto, l’impresario Merelli gli commissionò la commedia Un giorno di regno, andata in scena con esito disastroso. Fu ancora Merelli a convincerlo a non abbandonare la lirica, consegnandogli personalmente un libretto di soggetto biblico, il Nabucco, scritto da Temistocle Solera. L’opera andò in scena il 9 marzo 1842 e nonostante un’iniziale tiepida accoglienza, a partire dalla ripresa del 13 agosto il successo fu questa volta trionfale grazie anche al forte sentimento patriottico che suscita nella città nella quale fermentava il nascente Risorgimento, rafforzando la popolarità del melodramma identificandone l’immagine con la Scala.
I titoli del primo periodo scaligero del compositore di Busseto come I Lombardi alla prima crociata e Giovanna d’Arco, oltre a quelli già citiati appassionarono il pubblico, ora composto anche da borghesi.
Proprio in occasione della messa in scena della Giovanna d’Arco, nel 1845, i malumori intervenuti a causa della generale scarsa considerazione dei desiderata dei compositori di fronte alle necessità, soprattutto economiche, degli impresari scaligeri, spinsero Verdi a rinunciare per oltre vent’anni al palcoscenico che lo aveva lanciato.
Gli anni dell’esilio scaligero di Verdi non furono tra i più felici per il teatro. A parte alcuni titoli (Il barbiere di Siviglia, Semiramide, La Cenerentola, Guillaume Tell) le opere rossiniane tendono a diradare; costante è invece la presenza di Bellini, scomparso già nel 1835, e di Donizetti. L’ultima opera composta da Mercadante per la Scala, La schiava saracena, passa inosservata, e anche le opere precedenti del compositore altamurano, scompaiono dai cartelloni. Accanto alle opere composte da Verdi per gli altri teatri d’Europa, successo ottengono anche le produzioni di Giacomo Meyerbeer.
La Scala dopo l’Unità d’Italia
Dopo la partenza dalla città dagli austriaci (1859), l’attività riprende con Lucia di Lammermoor di Donizetti: alla recita del 9 agosto assiste anche il re Vittorio Emanuele II. A seguito dell’unità d’Italia, la Municipalità si sostituì al governo austriaco nell’erogazione di sovvenzioni al teatro.
Nel 1860, in occasione della serata di apertura della Stagione di Carnevale e Quaresima, venne inaugurato il nuovo sistema di lumi a gas del lampadario del Sanquirico. Nel 1883 venne invece completato l’impianto di illuminazione elettrica.
Negli anni immediatamente successivi si tentarono alcuni esperimenti, per lo più falliti: I profughi fiamminghi di Franco Faccio su libretto di Emilio Praga nel 1863, manifesto antiverdiano che proponeva l’abbandono delle tradizionali formule operistiche, e Mefistofele di Arrigo Boito (1868), spettacolo di quasi sei ore che si rifaceva al dramma wagneriano. Nel 1870 avviene il successo della prima assoluta di Il Guarany di Antônio Carlos Gomes con Victor Maurel. È invece dal 1873 la prima, apparizione scaligera del grande compositore tedesco con Lohengrin, nella traduzione di Salvatore Marchesi, diretto da Faccio con Italo Campanini (tenore) e Maurel alla presenza di Antonio Smareglia.
Rassicurato da Tito Ricordi e da suo figlio Giulio, Verdi tornò alla Scala nel 1869 con il successo di una versione rinnovata de La forza del destino “messa in scena dall’autore”, come si legge nel cartellone con Teresa Stolz e Mario Tiberini.
Tra i titolari della gestione degli anni post unitari si possono ricordare i fratelli Corti (1876) e Luigi Piontelli (1884-1894).
Tra il 1894 e il 1897 la gestione del teatro passò in mano all’editore Edoardo Sonzogno. Sul palcoscenico scaligero apparvero in quegli anni opere di compositori francesi (Charles Gounod, Fromental Halévy, Daniel Auber, Hector Berlioz, Georges Bizet, Jules Massenet, Camille Saint-Saëns) e della cosiddetta scuola verista (Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo, Umberto Giordano). Grande successo ebbero anche le opere di Richard Wagner, che in quegli anni inaugurano spesso la stagione operistica.
Tra il 1881 ed il 1884 furono rinnovate le decorazioni degli ambienti al piano terra seguendo un progetto del 1862 degli architetti Savoia e Pirola. Nel 1891, per controllare meglio l’afflusso degli spettatori, furono aboliti i posti in piedi e vennero installate le prime poltrone fisse in platea.
Il 1º luglio 1897, il Comune di Milano, posto di fronte a emergenze sociali e sotto la spinta delle sinistre, decise di sospendere il proprio contributo: la Scala fu costretta a chiudere dal 7 dicembre (anche le scuole di canto e ballo).
Il teatro riaprì il 26 dicembre 1898 con I maestri cantori di Norimberga diretta da Arturo Toscanini con Angelica Pandolfini, Emilio De Marchi (tenore), Antonio Scotti e Francesco Navarrini grazie alla munificenza di Guido Visconti di Modrone. Riparate con fondi personali le perdite e fondata una Società Anonima, di cui il duca assunse la carica di presidente chiamando Arrigo Boito quale proprio vice, l’attività ricominciò sotto la direzione generale di Giulio Gatti Casazza e la direzione artistica di Toscanini.
Il primo periodo di Toscanini alla Scala fu segnato dal profondo interesse del direttore per Richard Wagner, ma anche per Meyerbeer e Berlioz. Fra i compositori contemporanei, catalizzarono la scena scaligera Mascagni, Franchetti, Boito.
Il 21 aprile 1889, con la prima di Edgar, fece il proprio esordio il giovane Giacomo Puccini, ottenendo un successo cordiale ma non propriamente caloroso. Un clamoroso fiasco fu invece, qualche anno dopo, la prima della Madama Butterfly (1904).
Il Novecento
Nel 1900 avviene il successo della prima assoluta di Anton di Cesare Galeotti diretta da Toscanini con Giuseppe Borgatti ed Emma Carelli e nel 1901 un concerto commemorativo per la morte di Verdi diretto da Toscanini con Amelia Pinto, Francesco Tamagno ed Enrico Caruso.
Nel 1909, il quinto ordine di palchi fu trasformato nell’attuale “prima galleria” per permettere a più spettatori, non proprietari di palchi, di assistere agli spettacoli.
Alla fine del 1918, Visconti di Modrone fu costretto a rinunciare all’incarico per ragioni economiche. Lo stallo di due anni portò ad una radicale trasformazione dei criteri di gestione: grazie alla rinuncia del diritto di proprietà sia da parte dei palchettisti che del Comune, venne fondato infatti l’Ente Autonomo Teatro alla Scala subito impersonato dal direttore generale Angelo Scandiani. Grazie a sovvenzioni comunali e statali e alle somme raccolte attraverso una sottoscrizione promossa dal Corriere della Sera, il teatro poté finalmente godere di una completa autonomia.
Si deve a Scandiani la costituzione formale dell’orchestra del Teatro alla Scala, i cui musicisti, un centinaio, verranno d’ora in poi scelti secondo rigidi criteri di selezione e assunti con regolari contratti a tempo indeterminato. Alla direzione musicale tornò ancora una volta Toscanini, promotore di una intensa e straordinaria stagione per il teatro. Il palco scaligero vide avvicendarsi i maggiori cantanti del tempo, tra cui Fëdor Ivanovič Šaljapin, Magda Olivero, Giacomo Lauri-Volpi, Titta Ruffo, Enrico Roggio, Gino Bechi, Beniamino Gigli, Mafalda Favero, Toti Dal Monte, Gilda Dalla Rizza, Aureliano Pertile.
Nel 1929 lo Stato fascista riservò al capo del governo la facoltà di nomina del presidente dell’Ente e impose la partecipazione di un rappresentante del Ministero dell’Educazione Nazionale al consiglio di amministrazione. Di fronte a ciò, Toscanini, portata a termine l’impegnativa tournée a Vienna e Berlino, lasciò la direzione del teatro nel maggio dell’anno successivo e si trasferì a New York. Nel 1931, a seguito di un’aggressione subita a Bologna, schiaffeggiato davanti al Teatro Comunale per essersi rifiutato di eseguire la Marcia Reale e Giovinezza, il maestro lasciò definitivamente il paese.
Nel 1932, Luigi Lorenzo Secchi progettò le “scale degli specchi” che collegano il foyer al ridotto dei palchi, anch’esso al centro di importanti lavori nel 1936.
Nel 1938 il palcoscenico venne dotato di ponti e pannelli mobili, oltre che di un sistema che permetteva di abbassarne il livello, facilitando il carico delle scene direttamente dal cortile.
Il 26 dicembre 1938 il maestro del coro Vittore Veneziani lascia la Scala per l’esilio a causa delle persecuzioni razziali.
Subito dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, comparvero sui muri del teatro manifesti inneggianti al ritorno di Toscanini (“Evviva Toscanini”, “Ritorni Toscanini”). Nella notte tra il 15 ed il 16 agosto di quell’anno, però, la Scala subì un devastante bombardamento: gravi danni furono causati alla sala (crollo del soffitto, di parte delle gallerie e dei palchi), andarono completamente distrutti il palcoscenico e le strutture di servizio. Su iniziativa dell’assessore alla cultura Achille Magni e con il placet del sindaco di Milano Antonio Greppi, si optò per ricostruire il teatro “com’era e dov’era” prima del conflitto. Fu perciò nominato un commissario straordinario (Antonio Ghiringhelli) che diede avvio ai lavori, guidati dall’ingegnere capo del Comune di Milano Secchi. Quest’ultimo continuerà fino al 1982 a sovraintendere alle opere di adeguamento e rinnovo del teatro.
La Ricostruzione e il ritorno di Toscanini
I lavori si protrassero fino al maggio 1946, ma nel frattempo non si cessò di far musica: l’attività scaligera continuò presso il Teatro Sociale di Como, nel Teatro Gaetano Donizetti di Bergamo e, a Milano, nel Teatro Lirico e nel Palazzetto dello Sport. Il 13 dicembre 1945 per l’inizio della stagione nel Teatro Lirico, il maestro del coro Vittore Veneziani torna alla Scala. L’11 maggio 1946 alle ore 21:00 “precise”, come si legge sul cartellone, Toscanini inaugurò la nuova sala, dirigendo l’ouverture de La gazza ladra, il coro dell’Imeneo, il Pas de six e la Marcia dei Soldati del Guglielmo Tell, la preghiera del Mosè in Egitto, l’ouverture e il coro degli ebrei del Nabucco, l’ouverture de I vespri siciliani e il Te Deum di Verdi, l’intermezzo e estratti dall’atto III di Manon Lescaut, il prologo ed alcune arie del Mefistofele. Il “concerto della ricostruzione”, che vide tra gli interpreti anche Renata Tebaldi con Veneziani, Mafalda Favero, Giuseppe Nessi e Tancredi Pasero, fu un evento storico per tutta Milano. Come scrisse Filippo Sacchi:
Dopo una serie di concerti diretti da Toscanini, Klecky e Votto, l’attività operistica riprese il 26 dicembre con il Nabucco.
La gestione di Ghiringhelli, nominato sovrintendente nel 1948, fu contrassegnata tra l’altro dalle partigianerie tra i sostenitori di Maria Callas Meneghini e di Renata Tebaldi: il soprano greco, che era già apparsa in sostituzione della collega italiana in alcune recite di Aida del 1950 diretta da Franco Capuana con Fedora Barbieri, Mario Del Monaco e Cesare Siepi, ottenne il primo trionfo scaligero in occasione dell’apertura della stagione 1951-52 come La Duchessa Elena ne I vespri siciliani diretta da Victor de Sabata con Enzo Mascherini, Boris Christoff, Enrico Campi e Gino Del Signore.
Il 18 febbraio 1957 la Scala ricordò Toscanini, scomparso a New York in gennaio, con un concerto diretto da Victor De Sabata.
Nell’estate 1967 viene promulgata una legge che riordina lo status dei principali teatri italiani, riconoscendo alla Scala, “ente autonomo lirico”, la personalità giuridica di diritto pubblico. Da questo momento in poi il presidente del consiglio d’amministrazione del teatro è il sindaco della città, mentre il sovrintendente è proposto dal Consiglio comunale e nominato dal Ministro per il turismo e lo spettacolo (la competenza è attualmente trasferita al Ministero per i Beni e le Attività Culturali). Al sovrintendente spetta il compito di predisporre i bilanci e, assieme al direttore artistico, nominato dal c.d.a., la stagione scaligera.
Antonio Ghiringhelli, cui va riconosciuto, tra l’altro, il merito di aver risollevato il teatro nella difficile situazione del dopoguerra, fu soprattutto un imprenditore. Grande influenza ebbe durante la sua gestione la competenza teatrale dei direttori artistici Mario Labroca, Victor de Sabata, Francesco Siciliani, Gianandrea Gavazzeni e Luciano Chailly. Nel 1972 furono nominati il nuovo sovrintendente, Paolo Grassi, uno dei fondatori del Piccolo Teatro, regista ed editore di collane teatrali e il direttore artistico, il pianista e musicologo Massimo Bongianckino. Nello stesso anno Claudio Abbado, già da qualche anno direttore musicale dell’orchestra, è nominato direttore musicale del teatro. Sotto questa gestione si è registrato il periodo di maggior produttività del teatro, che metteva in scena quasi 300 rappresentazioni all’anno.
Nel 1976 venne realizzato il meccanismo idraulico che consentì al piano dell’orchestra di essere sollevato fino al livello del palcoscenico.
L’anno successivo si ebbe un nuovo cambio nella gestione: a sostituire Grassi fu chiamato Carlo Maria Badini, già sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna, mentre Claudio Abbado prese il posto di Francesco Siciliani, subentrato due anni prima a Bongianckino nella carica di direttore artistico. Nel 1978 si festeggiò il secondo centenario dalla fondazione del teatro con una stagione in cui spiccarono Verdi (Don Carlo, Un ballo in maschera, I masnadieri, La forza del destino e Il trovatore) e Claudio Monteverdi (L’Orfeo, Il ritorno di Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea). Furono rappresentate anche due novità assolute di Luciano Berio (La vera storia) e di Camillo Togni (Blaubart), L’heure espagnole e L’enfant et les sortilèges di Maurice Ravel, Madama Butterfly e Manon Lescaut di Puccini, Fidelio di Beethoven, Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg, Tristan und Isolde di Wagner, Die Entführung aus dem Serail di Mozart e molti balletti, tra cui il Ballo Excelsior.
Solo un anno più tardi, nel 1979, Abbado lasciò la direzione artistica, mantenendo però quella musicale. Nel 1982, in tale veste, fondò, sul modello dei Wiener Philharmoniker, la Filarmonica della Scala. Nel 1986, ultimo anno della direzione Abbado, fu promotore di un importante “Omaggio a Debussy”, coinvolgendo anche il coreografo Maurice Béjart.
A sostituire Abbado fu chiamato il maestro napoletano Riccardo Muti, il quale promuoverà una stagione di riscoperta di opere come Lodoïska di Luigi Cherubini, Alceste e Iphigénie en Aulide di Christoph Willibald Gluck, con regie di ricerca e rinnovamento.
Con la nuova gestione di Carlo Fontana, nominato sovrintendente nel 1990, la Scala ha continuato non solo la tradizionale attività, ma ha puntato sulle tournée all’estero (ad esempio il Requiem di Verdi diretto da Abbado prima, da Muti poi, portato, tra l’altro, nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, o la versione di Falstaff che ha aperto la stagione 1979-80, regia di Giorgio Strehler, scenografia di Ezio Frigerio).
Gli anni 2000 e la Fondazione del Teatro alla Scala
Nel 1996 fu costituita per legge dallo Stato italiano, dalla Regione Lombardia e dal Comune di Milano, la Fondazione Teatro alla Scala, una fondazione di diritto privato, senza scopo di lucro, con il fine di perseguire la diffusione dell’arte musicale, l’educazione musicale della collettività, la formazione professionale dei quadri artistici e tecnici la ricerca e la produzione musicale, anche in funzione di promozione sociale e culturale. Ai “fondatori di diritto” può aggiungersi qualsiasi soggetto, pubblico o privato, straniero o italiano, che concorra alla formazione del patrimonio della fondazione con un contributo minimo fissato dallo statuto.
Il nuovo statuto ha anche permesso l’apertura della sala del Piermarini ad attività commerciali e finanziarie.
Importanti lavori interessarono l’edificio dal gennaio 2002 al dicembre 2004 che ha affrontato il più profondo intervento di restauro dell’edificio storico e di modernizzazione del palcoscenico dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. In questo periodo il Teatro degli Arcimboldi, nel quartiere decentrato della Bicocca, sorto sull’Area ex Pirelli, diventa il palcoscenico della Scala. Il teatro rinnovato venne ufficialmente restituito al pubblico il 7 dicembre con la rappresentazione della stessa opera che fu commissionata per l’inaugurazione della Scala nel 1778, L’Europa riconosciuta, di Antonio Salieri, fortemente voluta dal direttore musicale Riccardo Muti.
Dopo poco più di un anno, complesse polemiche videro l’allontanamento di Muti e la nomina, il 2 maggio 2005, del sovrintendente Stéphane Lissner, già direttore del Festival di Aix-en-Provence (è il primo sovrintendente non italiano nella storia della Scala). Daniel Barenboim, dopo l’esordio, il 7 dicembre 2007, con Tristano e Isotta di Richard Wagner, venne nominato direttore musicale nel 2011, mantenendo allo stesso tempo la direzione dell’Opera di Stato di Berlino. Accanto a giovani direttori come Daniel Harding e Gustavo Dudamel, Lissner riportò alla Scala, il 30 ottobre 2012, Claudio Abbado, assente dal teatro milanese da ventisei anni. Innovative e talvolta discusse sono state le scelte di regia (Robert Carsen, Emma Dante, Claus Guth, Nikolaus Lehnhoff). Nell’ottobre 2012 vengono confermate le voci circa l’addio di Lissner, che dal 2015 passerà all’Opéra National de Paris. Gli succederà Alexander Pereira. Sempre dal 1º gennaio 2015, a Daniel Barenboim succederà Riccardo Chailly.
David Robotti